Bonnie e il senso del tempo secondo gli animali: perché i cani ci salutano solo quando torniamo?

Gli animali hanno una concezione diversa da noi del passato e del futuro: vivono in un presente ricco di stimoli e interpretano i segnali presenti. Una lezione di vita

 

Non sono poi molte le differenze fra noi e gli altri animali. Con loro condividiamo quasi tutto, ma in una maniera evolutivamente più complessa: il linguaggio, i sentimenti, la struttura sociale, il comportamento e così via. Ma c’è un aspetto che ci separa nettamente da loro, ed è un aspetto fondamentale: la coscienza del tempo.

Siamo gli unici – almeno per quanto ne sappiamo finora – ad avere il concetto del passato e del futuro: e questo doppio concetto, come ben sappiamo, può essere un motore potente per le nostre attività oppure, al contrario, una causa decisiva della nostra infelicità. Senza ricordi né speranze probabilmente non potremmo vivere: ma spesso proprio qui risiede la causa del nostro malessere. I maestri buddhisti insegnano a vivere nel tempo presente, a coglierne appieno tutte le sfumature e tutte le possibilità senza lasciarsi sviare dal passato o dal futuro, senza rincorrere un orizzonte illusorio e senza restare intrappolati nel rimpianto, perché soltanto il presente è il nostro campo da gioco reale.

Gli animali, da questo punto di vista, potrebbero dirsi integralmente buddhisti: per loro, infatti, esiste soltanto il tempo presente. Non hanno ricordi né speranze, almeno non nel modo in cui li abbiamo noi. È difficile comprendere questa modalità, perché contrasta profondamente con la struttura stessa della nostra esperienza del mondo, continuamente intessuta di flashback e di balzi nel futuro, di rimpianti e di attese, di memoria e di progetto. Come può funzionare un’esistenza integralmente calata nel momento presente, unidimensionale e per così dire piatta? Il presente in cui vivono i nostri cani e i nostri gatti non è in realtà né unidimensionale né piatto: è invece cosparso di segnali, ciascuno dei quali attiva un ricordo o un’attesa – ma soltanto nel momento in cui il segnale si manifesta, soltanto quando il segnale è presente.

Facciamo un esempio. Se ci avete fatto caso, i cani non salutano mai quando ce ne andiamo (o quando uno di loro si allontana), mentre al nostro ritorno sono eccitati e festanti. Perché?Nella mente di Bonnie il mio allontanarsi da lei non significa che sarò lontano per un certo periodo di tempo, che forse tornerò e forse no, che magari non avrà a cena la solita ciotola di crocchette, che potrebbe capitarmi un incidente: no, la mia partenza significa semplicemente che in quel momento sono salito in macchina e la macchina si è allontanata. Quando invece ritorno, la mia presenza in quel preciso momento, il mio scendere dalla macchina, il mostrarsi a lei accende un ricordo positivo e riporta alla mente di Bonnie l’esperienza passata del nostro stare insieme: per questo mi fa le feste ed è visibilmente contenta.

In altre parole, la memoria di un cane (o di un gatto) è un serbatoio sigillato al quale si può accedere soltanto quando il presente offre una traccia, uno spunto, un segnale. È una memoria prodigiosa: un cane può ricordarsi di una persona – nel bene o nel male – a distanza di anni, ma soltanto nel momento in cui la rivede o ne avverte l’odore o ne sente la voce.

Non diversamente funziona il futuro: nella mente di Bonnie il mio andare verso l’armadio dove tengo le crocchette innesca un processo mentale di anticipazione, perché è il primo anello di una catena di gesti che si conclude con la sua cena: e infatti comincia a leccarsi i baffi e a scodinzolare, si sposta là dove di solito metto la ciotola, mi guarda con evidente soddisfazione. Ma durante la giornata alla cena non pensa mai.

Non so se sia il modo giusto di vivere, ma certamente ci fa riflettere: perché i maestri buddhisti hanno ragione quando ci invitano a concentrarci su ciò che abbiamo in questo preciso momento, anziché perderci in ciò che non abbiamo più o non abbiamo ancora.

Non sono poi molte le differenze fra noi e gli altri animali. Con loro condividiamo quasi tutto, ma in una maniera evolutivamente più complessa: il linguaggio, i sentimenti, la struttura sociale, il comportamento e così via. Ma c’è un aspetto che ci separa nettamente da loro, ed è un aspetto fondamentale: la coscienza del tempo.

Siamo gli unici – almeno per quanto ne sappiamo finora – ad avere il concetto del passato e del futuro: e questo doppio concetto, come ben sappiamo, può essere un motore potente per le nostre attività oppure, al contrario, una causa decisiva della nostra infelicità. Senza ricordi né speranze probabilmente non potremmo vivere: ma spesso proprio qui risiede la causa del nostro malessere. I maestri buddhisti insegnano a vivere nel tempo presente, a coglierne appieno tutte le sfumature e tutte le possibilità senza lasciarsi sviare dal passato o dal futuro, senza rincorrere un orizzonte illusorio e senza restare intrappolati nel rimpianto, perché soltanto il presente è il nostro campo da gioco reale.

Gli animali, da questo punto di vista, potrebbero dirsi integralmente buddhisti: per loro, infatti, esiste soltanto il tempo presente. Non hanno ricordi né speranze, almeno non nel modo in cui li abbiamo noi. È difficile comprendere questa modalità, perché contrasta profondamente con la struttura stessa della nostra esperienza del mondo, continuamente intessuta di flashback e di balzi nel futuro, di rimpianti e di attese, di memoria e di progetto. Come può funzionare un’esistenza integralmente calata nel momento presente, unidimensionale e per così dire piatta? Il presente in cui vivono i nostri cani e i nostri gatti non è in realtà né unidimensionale né piatto: è invece cosparso di segnali, ciascuno dei quali attiva un ricordo o un’attesa – ma soltanto nel momento in cui il segnale si manifesta, soltanto quando il segnale è presente.

Facciamo un esempio. Se ci avete fatto caso, i cani non salutano mai quando ce ne andiamo (o quando uno di loro si allontana), mentre al nostro ritorno sono eccitati e festanti. Perché? Nella mente di Bonnie il mio allontanarsi da lei non significa che sarò lontano per un certo periodo di tempo, che forse tornerò e forse no, che magari non avrà a cena la solita ciotola di crocchette, che potrebbe capitarmi un incidente: no, la mia partenza significa semplicemente che in quel momento sono salito in macchina e la macchina si è allontanata. Quando invece ritorno, la mia presenza in quel preciso momento, il mio scendere dalla macchina, il mostrarsi a lei accende un ricordo positivo e riporta alla mente di Bonnie l’esperienza passata del nostro stare insieme: per questo mi fa le feste ed è visibilmente contenta.

In altre parole, la memoria di un cane (o di un gatto) è un serbatoio sigillato al quale si può accedere soltanto quando il presente offre una traccia, uno spunto, un segnale. È una memoria prodigiosa: un cane può ricordarsi di una persona – nel bene o nel male – a distanza di anni, ma soltanto nel momento in cui la rivede o ne avverte l’odore o ne sente la voce.

Non diversamente funziona il futuro: nella mente di Bonnie il mio andare verso l’armadio dove tengo le crocchette innesca un processo mentale di anticipazione, perché è il primo anello di una catena di gesti che si conclude con la sua cena: e infatti comincia a leccarsi i baffi e a scodinzolare, si sposta là dove di solito metto la ciotola, mi guarda con evidente soddisfazione. Ma durante la giornata alla cena non pensa mai.

Non so se sia il modo giusto di vivere, ma certamente ci fa riflettere: perché i maestri buddhisti hanno ragione quando ci invitano a concentrarci su ciò che abbiamo in questo preciso momento, anziché perderci in ciò che non abbiamo più o non abbiamo ancora.

di Fabrizio Rondolino
(Fonte Corriere della Sera)