Giornata degli oceani. Difendere la salute dell’oceano ci aiuterà a salvare il pianeta

Oggi si celebra la Giornata mondiale delle distese oceaniche

Di questi tempi, la celebre riflessione di Blaise Pascal sull’uomo come «canna che pensa» fa riflettere almeno due volte. Durante una pandemia, certo, è naturale interrogarsi sulle fragilità umane e sui tentativi d’ogni tempo per attenuarle, grazie alle capacità pensanti. Ma al contempo, la nostra sensibilità di lettori del XXI secolo ci suggerisce ormai che il filosofo francese seicentesco fu premonitore pure in chiave ecologica, poiché la pianta scelta per simboleggiare il genere umano, la canna, è allo stesso tempo invasiva e amante dell’acqua. Proprio come l’odierna umanità che ‘morde’ vieppiù sugli ecosistemi umidi e acquatici, privilegiando anche solo per brevi periodi, se possibile, una vita rivierasca accanto a laghi, fiumi, mari e oceani.

La Giornata mondiale dell’oceano, che si celebra oggi nel mondo intero, sottolinea più che mai il legame vitale fra l’umanità e le distese oceaniche. Queste ultime, infatti, sono alla base del ciclo planetario dell’acqua che rende l’ecumene abitabile. E il tema di quest’anno è proprio «L’oceano: vita e mezzo di sussistenza». Oceano al singolare, dunque, per sottolineare gli scambi e i legami profondi fra tutti gli oceani. «Il messaggio centrale di questa giornata è che non possiamo avere un pianeta sano senza un oceano sano. E la salute dell’oceano è chiaramente in declino. Come cittadini del pianeta, abbiamo tutti il dovere d’invertire questa tendenza», dice ad ‘Avvenire’ in videoconferenza Peter Thomson, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per l’oceano, che ha il ruolo di mobilitare i governi e la comunità internazionale in vista dell’obiettivo 14 dell’Agenda 2030: conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile.

La comunità internazionale si era impegnata a proteggere il 10% delle distese marine entro il 2020, anche per contrastare gli eccessi più sconsiderati della pesca intensiva. Su questo fronte, ci sono stati progressi significativi, ma ancora insufficienti: «Come si è dimostrato scientificamente, queste aree protette sono essenziali per la biodiversità, per attenuare il cambiamento climatico e per accrescere le popolazioni di pesce. Siamo oggi al 7,7% circa. E c’è un movimento in marcia, con numerosi Paesi, anche oceanici, per accelerare e giungere al 30% entro il 2030. Ma non potremo farcela se non riusciremo già a creare 3 aree protette giganti attorno all’Antartide. Un progetto sul tavolo da tempo, nel quadro della Commissione per la Conservazione delle risorse marine viventi antartiche. Al momento, so- lo due Paesi presentano obiezioni, gli altri sono pronti», sottolinea Thomson.

Cina e Russia continuano ad opporsi. Soprattutto per interessi geo-economici, secondo gli esperti. L’Unione Europea è invece fra i promotori in particolare della creazione della più vasta di queste tre zone, quella attorno al Mare di Weddell, estesa 2,18 milioni di km 2, su un totale di 4 milioni di km 2 al centro delle discussioni. Le ultime riunioni annuali della Commissione ad hoc fra i 25 Paesi aderenti (più l’Ue) hanno suscitato non poca delusione. Ma in questo 2021 che segna pure l’inizio del Decennio dell’Onu per le scienze oceaniche al servizio dello sviluppo sostenibile, le speranze si riaccendono grazie pure alle parallele trattative in corso in vista della Cop 15 sulla Biodiversità prevista in autunno in Cina. La posta in gioco è decisiva anche per il clima, dato che l’Antartide e l’oceano australe contengono quasi il 90% del ghiaccio mondiale e circa il 70% dell’acqua dolce del pianeta. Inoltre, le correnti circumpolari alimentano la biodiversità marina planetaria, anche grazie alla circolazione del krill, i piccoli crostacei alla base della catena alimentare. Lo stesso krill che, del resto, immagazzina CO2 per poi ‘esportarla’ verso il fondo oceanico.

Nel 2016, nella sua qualità di 71° presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, Thomson svolse un ruolo chiave per mettere l’oceano fra le priorità diplomati- che, anche come rappresentante di Figi, fra i micro-Stati insulari che subiscono l’impatto del riscaldamento climatico. In proposito, ricorda: «Proprio 5 anni fa, è fiorita una presa di coscienza. Da allora, c’è stata un’esplosione d’interesse e cresce l’azione a favore degli oceani. Sono oggi convinto che nessuna autorità potrà dire da sola tutto quello che occorre fare. Tutti devono restare impegnati. Le imprese, le Ong, le università, i giovani. C’è spazio per tutti per fare qualcosa contro il degrado oceanico». Ma quanti s’impegnano per l’oceano attendono al più presto risultati concreti. In proposito, fra le piaghe urgenti che hanno conquistato negli ultimi anni una crescente mediatizzazione, vi è quella delle ‘zuppe’ giganti di plastica (talora definite ‘continenti’) che le correnti oceaniche concentrano in primo luogo in 5 vaste aree oceaniche, a cominciare da quella del Pacifico settentrionale.

Anche qui, la diplomazia s’è messa al lavoro e spera di portare a casa un Trattato globale sull’inquinamento da plastica in occasione della prossima Assemblea ONU sull’ambiente di Nairobi, nel febbraio 2022, anche se Thomson in proposito si mostra cauto: «Ci stiamo muovendo nella buona direzione. Se non a febbraio, possiamo riuscirci nelle vicinanze. Cresce la consapevolezza che abbiamo bisogno, il più presto possibile, d’un trattato molto solido. Ciò che facciamo oggi con la plastica è sbagliato e dobbiamo autorizzare solo la produzione di polimeri riciclabili, con sistemi di controllo affidabili. Oggi, la civiltà umana ha sviluppato una dipendenza dalla plastica, ma dobbiamo usare il buon tipo di plastica nel modo giusto, accanto a sostituti della plastica. L’ingegno umano ha inventato la plastica e può dunque trovare pure delle alternative sostenibili».

In uno spirito realistico, sul piano economico, l’agenda ONU mira a schiudere l’orizzonte inedito di un’«economia blu sostenibile ». Un’altra frontiera che vede Thomson impegnato in prima linea: «Ciò significa, ad esempio, promuovere l’energia rinnovabile d’origine oceanica, un’acquicoltura sostenibile, la medicina legata alle risorse marine. Il decennio che comincia sarà decisivo, perché prima d’investire massicciamente in questi campi, abbiamo bisogno di conoscenze scientifiche di qualità che ancor oggi spesso mancano. Lo sfruttamento delle risorse oceaniche è stato finora lineare e ha condotto al degrado attuale. Dobbiamo invece ripartire da uno schema secondo l’ordine seguente: scienza, piani sostenibili, investimenti. Sono convinto che l’economia blu sostenibile sarà lo zoccolo duro per l’umanità dei prossimi decenni».

Oltre che continui campanelli d’allarme, in effetti, l’oceano può offrire un messaggio di speranza potente e d’ampio respiro a un’umanità attualmente piegata dalla pandemia come la «canna» di Pascal, ma cosciente al contempo di doversi mostrare «pensante» per trovare nuove soluzioni sostenibili. Del resto, è pure il senso dell’appello vibrante lanciato per la Giornata mondiale di oggi dal segretario generale dell’ ONU, Antonio Guterres: «Più di 3 miliardi di persone vivono grazie all’oceano, principalmente nei Paesi in via di sviluppo. Proprio in questa fase in cui cerchiamo di sormontare la crisi di Covid-19, dobbiamo cessare la nostra guerra contro la natura. Sarà essenziale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, l’obiettivo di 1,5 gradi fissato dall’Accordo di Parigi e garantire la salute dei nostri oceani per le generazioni attuali e future».

di Daniele Zappalà 

martedì 8 giugno 2021

(Fonte L’AVVENIRE)